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Quello che le banche non sanno di noi e quel vento di Bilbao che potrebbe darci qualche spunto

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Qualche settimana fa, al tavolo con il board di una banca (non retail), uno dei co-founder Klear ha posto una domanda alle persone al tavolo. 

“Se poteste dare un giudizio al rapporto che avete, da clienti, con la vostra banca retail di riferimento, che voto dareste? E se il voto è buono, in quale percentuale dipende dalla persona di riferimento che vi segue, per conto di quell’Istituto?”

Un po’ ho tremato, perché seduto al tavolo c’era giusto uno che di mestiere fa il banchiere.

I voti, piuttosto scarsi o se positivi legati al 100% alla relazione costruita con la persona di riferimento, hanno portato la discussione esattamente dove volevamo cogliere nel segno e dunque a indagare un rapporto che, sebbene sia fondamentale per la nostra vita finanziaria, raramente riesce a soddisfare a pieno le nostre aspettative.

Anche leggendo tra le righe della nostra ultima ricerca, sembra difficile immaginare che la maggior parte dei clienti possa sentirsi pienamente soddisfatto del proprio rapporto con l’istituto bancario. In molti casi, le cose funzionano bene solo perché abbiamo avuto la fortuna di entrare in contatto con una persona di riferimento che ha compreso la nostra situazione, il nostro percorso e ha dimostrato di saperci guidare con competenza. 

Questa situazione, molto comune, apre uno scenario: laddove questa persona cambiasse banca, o volesse abbandonare il suo ruolo, lascerebbe un cliente privo di punti di riferimento?

E allo stesso tempo, una banca che si trova a gestire il passaggio di consegne tra banker, con quali informazioni di quel cliente si troverà ad affrontare questo passaggio delicato?

Non voglio certo insinuare che non vi siano sacche di clientela affezionate ad un brand bancario, per storia, prestigio, o in virtù di un rapporto di lunga data. Ma anche quando restiamo fidelizzati alla stessa banca, resta una domanda che mi ha fatto riflettere in queste settimane.

Cosa sa davvero di noi l’istituto? Dati anagrafici, disponibilità economiche e stato famigliare.

Ma conosce le nostre aspirazioni? I nostri progetti a lungo termine? Sa qual è la nostra visione del futuro? Ha un’idea dei contorni della nostra personalità?

Se ci pensiamo, oggi la nostra esperienza con la banca è per lo più definita da numeri e dati concreti: il saldo del nostro conto, la nostra storia creditizia, i flussi di cassa mensili.

Nel nostro modo di leggere il mercato odierno, questo approccio non basta più. 

Come possono offrire consulenze veramente su misura se non hanno accesso a informazioni più personali ed emotive? Anche con il miglior software di analisi dei dati, è impossibile cogliere la totalità di un cliente basandosi solo su dati oggettivi. Ma francamente non credo basti sapere quanti soldi una persona guadagni o quanti ne spenda per capire cosa lo spinga a prendere le sue decisioni in ambito finanziario.

Se una banca non ha accesso a un quadro completo del cliente, che includa i suoi obiettivi di vita, le sue priorità, le sue ansie e i suoi sogni, risulta estremamente difficile offrire soluzioni veramente personalizzate.

Anche le migliori intenzioni e la più alta professionalità si scontrano con il limite di un gap informativo che, nel panorama attuale, è difficile da colmare senza una trasformazione profonda nel modo di raccogliere e interpretare i dati.

Per dirla in breve, penso che la dimensione emotiva, il bagaglio culturale e la dimensione aspirazionale di una persona, siano 3 assi fondamentali su cui costruire la consulenza patrimoniale del futuro.

Il risultato di questa lacuna è che spesso le soluzioni proposte dalle banche, anche le più valide, non sono mai davvero in sintonia con ciò di cui abbiamo bisogno.

La personalizzazione rimane limitata, e il rapporto con la banca perde di valore. In questo contesto, a tendere, sarà sempre più normale che vinca la banca che costa meno, o quella che ti remunera meglio il conto corrente. 

Ora mi avventurerò in una riflessione, forse un po’ da bar, ma insomma, siamo tra di noi. Preferisco dirvi come la penso e prendermi qualche critica e qualche spunto, piuttosto che dirmi le cose da solo e darmi ragione.

Negli ultimi 3 anni una grossa banca spagnola ha iniziato ad operare in Italia con una proposta di banking digitale e una value proposition che l’ha distinta dal resto del mercato: la remunerazione del conto corrente al 4% lordo (per un periodo limitato). 

Leggo sui giornali finanziari che questo Istituto oggi ha 580.000 clienti. Facendo un rapido e sommario calcolo, in media ogni correntista ha incamerato un rendimento netto annuo di 250 euro. Può servire questo dato per riflettere sul valore che alcune persone attribuiscono al rapporto con la propria banca?

Può accenderci il dubbio che, in un mondo dove i servizi digitali sono sempre più standard di mercato, e in fondo piuttosto eterogenei tra i diversi istituti, questo potrebbe essere un primo segnale di come alcuni (o molti) clienti stiano iniziando a vedere i servizi bancari come una commodity da acquistare qua e là, come la fornitura luce e gas, a caccia di un prezzo migliore a parità sostanziale di servizio?

Sto esagerando, ma spesso l'iperbole è un esercizio mentale che mi permette di amplificare le dinamiche di mercato, e mi aiuta a leggere tra le righe.

Bene, se davvero è questo il futuro, o il presente del mercato, riteniamo che un’evoluzione dei servizi bancari passi per un ripensamento della consulenza patrimoniale per qualsiasi tipologia di cliente (a prescindere dalla capienza del suo patrimonio).

Per essere davvero efficace, dovrà integrarsi con una conoscenza più profonda e umana del cliente: i suoi sogni, le sue ambizioni, le sue paure.

Solo così la banca potrà offrire soluzioni che vadano oltre il semplice prodotto finanziario, costruendo un rapporto che si fondi su fiducia, empatia e obiettivi condivisi.

Questo è il tipo di consulenza che Klear vuole rendere realtà: un nuovo paradigma bancario, in cui i dati tradizionali si combinano con quelli emotivi e psicologici, per permettere agli operatori di settore di costruire un servizio veramente personalizzato.

Accelerare questo processo è la nostra missione.

Vi lascio, come di consueto, con alcune notizie:

  • Siamo entrati nella community di Italia Fintech, la principale associazione degli imprenditori che riunisce le più innovative realtà del Fintech nazionali e internazionali operanti in Italia.

  • Siamo live su TikTok, se usate questo social network venite a dare un’occhiata.

  • Stiamo lavorando ad una partnership chiave in ambito previdenza. Se ci riuscisse quello che abbiamo in mente, avremmo una killer application per scalare da subito. Non è facile, ma ce la metteremo tutta.

Ci sentiamo il prossimo sabato!

C’è chi vede le cose come stanno e chiede: "Perché?"

C’è chi sogna le cose in maniera diversa e si chiede: “Perché no?”

In Klear, vogliamo far parte della seconda categoria.

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