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Early stage startup e fair play
Quando è iniziato questo viaggio, 32 settimane fa, ho raccolto le prime decine di utenti con la promessa di portarli a bordo della startup sin dal giorno 0, quando sul tavolo c’era poco più di un’idea.
Qualcuno di loro si è disiscritto nei giorni scorsi. “Non parli più di come stai facendo la tua startup, parli solo della tua startup”. A chi di loro è rimasto, dedico dunque questo racconto, che vi riporta dritti nelle disavventure di chi prova a fare impresa partendo da zero.
Siamo a due settimane dal rilascio della prima versione dell’applicazione web di Klear e cosa potrebbe andare storto?

Un nostro full stack developer ha deciso di andarsene, senza preavviso, scegliendo la sicurezza di un’azienda più grande e strutturata. Una scelta legittima, che ovviamente rispetto. Una scelta che ha avuto i suoi strascichi e che mi ha portato a riflettere molto sul rapporto tra lavoratori e imprenditori.
Le persone cambiano lavoro, è naturale. Ma il modo in cui accade, all’interno di una startup, può fare la differenza. Perché non dirsi le cose come stanno? Perché non concedere il tempo di riorganizzarsi? Perché le aziende più grandi non si pongono quasi mai il tema di concedere una transizione morbida (se anche il dipendente ovviamente è d’accordo) mettendo in campo un po’ di elegante fair play nei confronti delle più piccole?
E quando qualcuno se ne va senza dare spiegazioni vere, senza quel minimo di trasparenza che ti aspetteresti in un team piccolo e affiatato, è possibile non sentire, anche solo per un attimo, un senso di inadeguatezza. Cosa avrei potuto fare meglio? Cosa non ho capito?
Poi la delusione lascia sempre spazio alle riflessioni più pacate. Le persone sono diverse. C’è chi cerca stabilità e chi cerca adrenalina. C’è chi si sente al sicuro in una struttura definita e chi, invece, si sente vivo solo quando costruisce qualcosa che non esiste ancora. E, ca va sans dire, non c’è giusto o sbagliato.
Quello che è accaduto nei due giorni successivi lo ha dimostrato perfettamente. In meno di due giorni, abbiamo portato a termine una proposta ad un nuovo collega.
E la sua reazione ha fatto trapelare sensazioni opposte. Quando l’abbiamo chiamato (ci aveva mandato il suo cv qualche mese fa), ha risposto senza esitazione: “Non vedevo l’ora che mi chiamaste”.
Era stanco della corporate, dei processi infiniti, della prevedibilità. Cercava esattamente ciò che altri rifuggono: il brivido di costruire, l’adrenalina della velocità, la libertà della flessibilità.
Ciò di cui sono più orgoglioso? Non l’ho trovato da solo. Il team si è mosso all’unisono, tutti hanno contribuito, segnalato contatti, suggerito nomi. Un problema che sembrava un ostacolo si è trasformato in un’opportunità.
Ecco la verità sulle startup, o almeno sulle mie: i nostri limiti sono anche i nostri punti di forza. Manca la struttura, sì. Manca la rigidità dei processi. Ma questo significa anche che quando serve, puoi muoverti più velocemente di chiunque altro. Puoi reagire, adattarti, risolvere.
Di certo manca anche un CEO esperto, che sia in grado di trattenere i suoi migliori talenti.
Il nostro nuovo collega arriverà tra tre settimane, una in più del dovuto, per portare a termine dei lavori per la sua attuale azienda. Questa attenzione per il suo attuale datore di lavoro è il più bel segnale per il suo prossimo.
E un ritardo di due settimane nel lancio della piattaforma sono un downside accettabile, rispetto a quanto accaduto.
Ci sentiamo sabato prossimo!
E… grazie, siete quasi 600.
C’è chi vede le cose come stanno e chiede: "Perché?"
C’è chi sogna le cose in maniera diversa e si chiede: “Perché no?”
In Klear, vogliamo far parte della seconda categoria.
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